Il ragno del dio che danza

L' Odin teatret, il gruppo teatrale fondato da Eugenio Barba, risiede a Holstebro, in Danimarca, e promuove i teatri del mondo, rassegne teatrali con gruppi di teatro orientali, indiani, giapponesi, da Singapore (I Made Baden, Bergamo autunno 1977), multiculturali, in quello che ha preso forma ed è stato chiamato ISTA, International School of Theatre Anthropology. L'unica sessione svoltasi nel Salento è stata nel 1987

                                                I Prof. Ruffini, Nicola Savarese, FerdinandoTaviani, e Schino

Nel 1974-75 questo gruppo soggiorna nel profondo sud, in Salento, in diverse tappe, a Carpignano Salentino, sulle tracce della cultura orale, canzoni e danze, ed a Monteiasi nel Tarantino. I resoconti di questo viaggio sono pubblicati in un depliant distribuito al festival di teatro di Venezia, con le foto di Tony D'Urso a fissare le performance e la meraviglia del pubblico, grandi e bambini. In un post precedente ho scritto su alcuni di questi episodi/eventi. Settembre '75, sono stato alla Biennale a Venezia, ed ho preso il depliant dell'Odin che presentava il soggiorno nel Salento, le parate di strada, a Carpignano Salentino, con lo scambio/baratto: noi presentiamo il nostro lavoro e voi portate le vostre canzoni, i cunti, oppure dei libri, per una biblioteca di paese"

Io arrivavo da Torino, città in cui avevo lavorato nell'animazione, con la cooperativa della svolta (1976-1977) e con Renato Giuliani, ai tempi di Nalpas teatro, con vari spettacoli di clownerie e con animazioni nei centri estivi (scuole di Nichelino), avevo conosciuto Giorgio di Lecce, e fatto stages con il gruppo teatrale Domus de Ianas.

In questo post raccolgo i miei ricordi dell'estate  1981, da marzo ad agosto, quando insieme ai docenti di Storia del Teatro di Lecce, all'Oistros, ed agli studenti che aderirono, si svolse la preparazione degli stages teatrali, e dello spettacolo in turnèe nei paesi della Grecìa salentina, Il ragno del dio che danza.

Il gruppo che si era formato comprendeva attori già provetti, come Franco Corallo, Cristina Ria, e Mario Blasi, e studenti, come Marcella Quarta,  Annarita Rizzo, Marcella Ferraro, Maria Rosa da Martina Franca, Vera De Luca, Grazia da Bari, Raffaele (reduce da Pontedera ma domiciliato in Salento) oltre a vari partecipanti che per loro ragioni non proseguirono fino alle rappresentazioni di luglio, tra cui l'uomo pietra, Vito Mazzotta, Anna Cerignola, e Costantino Piemontese, che con il gemello Beniamino (I Messapi) utilizzò Raffaele come modello per la colata di gesso, e fecero un Cristo crocifisso in cartapesta di dimensioni reali.

Gli stages teatrali erano presieduti dal sociologo francese della trance Georges Lapassade, la trance allucinatoria delle discoteche odierne e del bacino del mediterraneo come Egitto e Marocco, in cooperazione con i docenti Nicola Savarese e Marisa Turano, e gli assistenti di Storia del teatro, come Gino Santoro

Da marzo a giugno si sarebbero alternati vari corsi, con Tapa Sudana, balinese attore di Peter Brook nel suo Mahabarata, corpo movimento e espressione, Monica Solem (The House), tecniche corporali e vocali, Cristina Cibils e Erico Carbeiro, attori del Living theatre, trance e lavoro dell'attore.

La prima fase si svolse nelle aule dell'università, con studi sulla trance, le tradizioni popolari. i canti e lamentazioni funebri, le Baccanti di Euripide, il ruolo dato a Dioniso nella Grecia classica e nelle rivisitazioni colte, e fasi di improvvisazione e psicodrammi sulla vita personale nella famiglia e società odierna. 

Il nome della rassegna e dello spetttacolo estivo deriva dal Dio bambino, il sole dentro di noi

Dioniso è la forza vitale (per Janmaire) coloro che si riparano dietrro la sicurezza della ragione sono destinati a cadere. Per Dodds, riguardo gli attacchi di isteria collettiva  il rito doinisiaco riesce a contenerli, sfociando nel rito religioso. Resistere a Dioniso è inutile, la parte più profonda si scava una via di uscita, se è repressa esce fuori con violenza, invece di manifestarsi come forza vitale. Anche Ernesto De Martino ha descritto azioni di isteria collettiva, in "Furore, simbolo, valore".

Dioniso è quello che facciamo con lui. Euripide non prende posizione, lascia le contraddizioni perchè la nostra sensibilità possa analizzarle. "Le supplici" parla del significato della sepoltura rituale, l'importanza degli onori ai defunti, per assicurarsi la benevolenza degli dei e della morte. Per Oreste, le Erinni esistono solo nella mente degli uomini, e dietro c'è la mentalità che l'assassinio richiami l'assassinio, come diritto dell'anima a essere vendicata. 

Lamentazioni funebri: Nel villaggio Iugur in Romania, nel buio una vecchia si lamenta camminando, segue un rituale e cerca aiuto nel pianto. Nel villaggio Tei in Carpazia, i lamenti non sono suoni umani, sono molto intensi. Non isolano la voce che piange, ma la fondono in un luogo vivente. Parla con tutti quelli che possono ascoltare, i monti, le piante, tutti gli uomini sulla terra.

Dibattiti sono serviti a formare un ponte tra storia delle religioni e il tarantismo studiato da De Martino, Luigi Chiriatti, i musicisti delle musiche tradizionali Diego Carpitella e Alan Lomax.

Nel frattempo, si studiava, per eventualmene utilizzare qualche brano, il testo delle Baccanti

Dalle terre dell'Asia                          Asiàs apogàs
dal Tmolo il sacro monte                 ieròntmolon amèipsasa toàzo
qui accorro in delirio                         bromiò pomoèdiu
sforzo dolce, fatica felice                  xamatòn t'èukamatòn
per celebrare Bacco.                        Bakkion èuazomenà.
Chi è là, chi è là, nella via?              Tis odò? Tis odò? Tis?
nelle stanze sta appartato                 melatròis exoposèsto
e la sua bocca nel silenzio santifica  Stomatèufemon apàs exosiùsto.
Con i miei canti rituali                        Ta nomìzenta garàei
sempre Bacco celebrerò                   Dyony'son ymnèso.
Beato chi conosce
i misteri divini
e vive religiosamente
e si entusiasma nell'anima
e partecipa sui monti
alla purificazione bacchica
e partecipa alle orgie di Cibele      Ta te màtros megalàs
la grande madre                             orghia Kùbelas temitèuon
e solleva il suo tirso                        ana ty'rson te tinàsson 
e si circonda di edere                     kissò te stefanòteis  
come servo di Dioniso                   Dyony'son terapèuei. 

Gli incontri con Tapa Sudana si svolsero tra il salone del collegio Argento, uscite all'aperto (Caprarica, Torre dell'Orso), e la chiesa degli Agostiniani a Melpignano. Molti esercizi di Tai Chi Chuan, e lavoro con le maschere del teatro balinese, la donna, il demone, il vecchio. A conclusione, si tenne una rappresentazione di gruppo a storia del teatro, inscenando un Gamelan, il coro balinese (TIAK, TIAKTIAKTIAK ripetuti, PON PON PON SRR, HES HES BIO SRR; Sorian gherian narian horian), con noi nella posizione del fiore di loto, in cerchio. 

Degli incontri con Monica Solem ricordo gli esercizi sulla corsa personale, spostando il peso del corpo avanti, indietro, e la canzone corale, con gruppi alternati sulle prima, seconda e terza strofa 
Cucù when I was wolking   in a may morning   I heard a bird song!
                                            Cucù when I was wolking....
                                                                           Cucù when I was wolking........
Con gli attori del Living theatre ricordo pochi stages, tenuti nel salone del collegio Argento, in cui si decisero le sorti di quella estate: ci fu una presentazione di lavoro al collegio Argento, con tavole viventi di ogni partecipante (il juke box). Gli attori lasciarono, e Gino Santoro prese accordi con i 7 comuni della Grecìa Salentina per ospitare la carovana itinerante della preparazione dello spettacolo, e delle "poche" serate che ne conseguirono: A Sternatia, nel palazzo baronale, a Martignano, nella chiesa e nelle strade, a Cursi/Melpignano, ed in piazza, a Muro Leccese.

Discussioni si animarono per scegliere i costumi e gli oggetti di scena, dai taraletti per far asciugare il tabacco, oggetti dell'universo domestico (ombrelli, valigie di cartone, lenzuoli, scope, sedie, appendiabiti, fascine, comò)
il sogno-incubo, ma anche l'entusiasmo
un sogno con delle pause, di scena, dentro il sogno, di realtà sociale, le partenze, le separazioni
orgia di oggetti quotidiani con molti usi
bestiario
il sonoro dà densità allo spettacolo e regge le immagini
uccelli, attori sbattono le ali, universo domestico allucinante, giostra trascinante
le creature come ospiti interni alla tarantata, prologo della donna che racconta, 
spazio mentale, oggetti sono ospiti della sua mente
lei come casa abitata da quegli oggetti che cantano, si agitano, sono dentro di lei
Montaggio sonoro con le musiche dei Pink Floyd, dall'album "the wall"
i canti delle prefiche, moruloia,
le grida delle tarantate nella cappella di S. Pietro e Paolo, lavò, lavò

Tra i testi da recitare ognuno si scelse qualche verso, di Vittorio Bodini, o di Vittorio Pagano 

Quanto manca d'azzurro a questo cielo (Mario)

Oh non sapremo mai d'essere stati fantasmi!

Vattene cielo vattene 
voltati dall'altra parte


da cui uscivamo al sole come numeri
dalla faccia d'un dado.

Sulle pianure del Sud non passa un sogno.

Battono colpi a case addormentate, ne trasale la luna (Grazia)

Uomini con camicie silenziose
fannno un nodo al fazzoletto
per ricordarsi del cuore

Qui non vorrei morire dove vivere
mi tocca, mio paese
così sgradito da doverti amare

Viviamo in un incantesimo 
tra palazzi di tufo
in una grande pianura. 
Sulle rive del nulla
mostriamo le caverne di noi stessi (Raffaele)

Chiudi le mani a pugno o luna sull'asfalto
lasciaci indovinare dove hai nascosto la moneta d'oro

Le bambine negli orti 
a ogni grido aggiungono una foglia 
alla luna e al basilico.  (vedi link)

Che erba hai in mano! - ho un mazzetto
di balconi e di capre 
di calce azzurra,
e per cielo, lattuga e erba cedrina
il verde cielo d'una tartaruga...

di cicogna, che si spulciano il petto 
che prendono pietre da terra
 e le buttano più in là.

Tre bambine che saltano alla corda 
arancio limone mandarino
e il cielo ai vetri rotti di un finestrino 
arancio limone mandarino (Maria Rosa)

Io avevo una pietra
e questa pietra aveva un orizzonte
e l'orizzonte un desiderio
d spaccarsi, di fendersi
in melagrane
in bianchi muri di calce
secondo un disegno che era
il disegno della mia morte.
E' con la propria morte
che bisogna abitare.....
ma ormai
senz'ombra
senza pietra come
come farò a sapere
dove sono, fino a che punto sono morto
o vivo
le cose da lasciare 
e quelle da prendere.
E' la caverna, è la caverna.
E' la caverna dell'uomo 
che ha i pantaloni stirati.


E' in una sera dipinta sulla seta che vi lascio
negli odori di umido e di carta bruciata (Addio e non leggete)

Sto davanti alla tua caverna.
Esci fuori e arrenditi.
Noi abbiamo la sintassi e la radio,
i giornali e il telegrafo,
e tu non vivi che del mio sonno,
non hai che la roccia a cui ti tieni abbrancato,
e per farmi dispetto
non mi rispondi nemmeno.

Uno l'ho visto io
camminare col capo in giù
sul soffitto,
altri bevevano a un pozzo
di scorpioni e di serpi,
non senza gridi,
nel viola acido e sporco
d'una cappella,
mentre fuori era il chiaro giorno
steso coi piedi avanti
come il Cristo del Mantegna.

Cade a pezzi a quest’ora sulle terre del Sud
un tramonto da bestia macellata.

E' qui che i salentini dopo morti
fanno ritorno
col cappello in testa.

Un monaco rissoso vola tra gli alberi.

Tutto ciò che ti dono 
non t'interessa.....
cos'è che ti rattrista,
che respingi ogni cosa:
se è l'orgoglio e i belletti del piacere
o se il dispetto di non essere eterno.


Quando tornai al mio paese nel Sud,
io mi sentivo morire.

Biancamente dorato
è il cielo dove
sui cornicioni corrono
angeli dalle dolci mammelle,
guerrieri saraceni e asini dotti
con le ricche gorgiere.

Un frenetico gioco
dell’anima che ha paura
del tempo,
moltiplica figure,
si difende
da un cielo troppo chiaro.

Un’aria d’oro
mite e senza fretta
s’intrattiene in quel regno
d’ingranaggi inservibili fra cui
il seme della noia
schiude i suoi fiori arcignamente arguti
e come per scommessa
un carnevale di pietra
simula in mille guise l’infinito.


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